Privati dei loro proprietari, gli oggetti erano un museo sconclusionato. Nessuno, da solo, sarebbe riuscito a raccontare una storia, dunque era così che andavano accolti, come un agglomerato di singolarità scollate dalla ragione per cui erano state acquistate, raccolte, salvate, portate a casa e poi dimenticate sugli scaffali. Una costellazione che evocava un passato generico, senza contorni né punti d'appiglio, in cui vagare come chi fa il morto in acqua.
Certe sensazioni, odori, memorie resteranno sempre parte di noi. Su questi si ergono prepotentemente storie che non cesseranno mai di esistere nonostante malattie e la cessazione di una vita, o più di una. Parti del tutto che da sole, forse, sembreranno essere inconsistenti e che riunite andranno a costituire altre storie. Ognuno di noi resta una parte di quel tutto, la cui assenza e presenza ridisegnano memorie e costellazioni.
Le costellazioni sono ritornano sempre nell'esordio vigoroso di Elisabetta Mongardi per Hacca edizioni presente, tra l'altro, nella classifica di qualità de L'indiscreto. Non solo vigoroso, ma splendido in ogni sfaccettatura e in questo caso la classifica non fa testo. Quando mi trovo a leggere di storie familiari del genere, di percezioni così potenti da farti familiarizzare con quanto vivono i protagonisti, di biologia (si, c'è anche la biologia, in tutta la sua bellezza, anche chimica) non posso fare altro che ribadire la qualità del romanzo.
Nel cassetto in cui sono buttate alla rinfusa le fotografie scampate allo scompiglio del tempo, giocano a cercare quella che useranno sulla tomba della madre quando non ci sarà più. Il pensiero le ha colte senza motivo, non è conseguenza di niente. Le hanno divise per annata; quelle in bianco e nero da una parte, scartate. I toni del grigio rimandano a un tempo talmente lontano che fatica a evocare dispiacere, nostalgia, una qualsiasi forma di affetto. Sono segnaposti: qui è esistito qualcuno, ma è passato troppo tempo per sentirne l'assenza.
Quante volte ci è capitato di sospirare osservando vecchie fotografie? Di rovistare tra monili rievocando pezzetti di memorie che oggi ci hanno forgiato? 'Ogni singola assenza' già dalla prima pagina ci introduce a quello che sarà il romanzo in toto, ai 'frammenti di ricordi' a cui l'autrice scrive, nei ringraziamenti, aver attinto.
Memorie di quattro donne: Tina, Giada, Ira e Viola, tutte parte di quella costellazione; non semplici punti luminosi ma traiettorie, come quelle su cui Giada si pone interrogativi e che alla divagazione preferisce una 'trama ben architettata'.
Una traiettoria può incrociare destini benevoli o malevoli. I destini di queste donne non saranno del tutto benevoli, eppure proprio queste avversità potranno diventare prospere, senza ipocrisie. Ce lo insegnano anche le carcasse delle balene, in uno splendido passaggio, uno dei tanti che ho segnato.
E aveva pensato che non si misura mai l'importanza di un legame in base a quanto futuro può contenere una volta disfatto, ma l'amore al suo meglio è disfacimento, un paesaggio dopo un'esplosione atomica, le radiazioni che continuano a riverberare oltre lo scoppio che le ha generate, si attaccano ai corpi che hanno intorno.
Disfacimento, dunque.
È ciò che accade nell'Alzheimer. È l'Alzheimer anche a fagocitare la vita di queste quattro stelle, nella persona di Tina.
Ora però la memoria aveva iniziato a sbiadire. Giada le aveva spiegato che non ricordava più niente, da sola; se doveva memorizzare una nuova informazione, un ricordo antico veniva rigettato per farle spazio. Per aiutarsi a ricordare aveva preso a scrivere, dopo una vita in cui non lo aveva fatto.
Elisabetta Mongardi attraverso una narrazione quasi tattile ci rammenta quanto ogni singolo frammento di memoria sia importante. Scrivo tattile non a caso. In queste pagine i sensi sono altamente presenti. Un romanzo bellissimo, soprattutto per chi ancora si commuove davanti ad una vecchia foto o riportando i sensi ad una delle creme solari che piccoli portavamo con noi in spiaggia.
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