Essere impastati nel peso dell'afasia di sentimenti, parole, solitudini. Un vuoto che pesa tantissimo, quello della vita che preme e dei ricordi che bussano. Solitudini che crescono, si scontrano e si plasmano, dando vita ad un abbraccio che infondo sa di nuova fiducia verso l'avvenire, più leggera. Il peso di Liz Moore è un romanzo che non porta con sè soltanto il fardello del titolo (Heft), ne porta diversi, e il lettore li sente, sulla schiena e nel cuore. Il peso è un peso fisico, ma anche emotivo. La solitudine dei protagonisti rimbomba e collide nonostante sia colma di mancanze. Un ossimoro che pesa anche a noi. Ha ragione Andrea Donaera quando nella prefazione scrive che Il peso è un romanzo che ci costringe a uno sguardo nell'abisso. Tra i duecentoventi e i duecentosettanta chili. Questo è il peso di Arthur Opp, ex docente di Letteratura incastonato nella casa di Brooklyn come uno di quei monili impolverati mai più spostati. Arthur non esce più di casa, diventa un ...
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