Romanzi furenti di una bellezza estrema. Come quello creato dalla penna di un'autrice francese di origini spagnole, Lydie Salvayre, che dovrebbe essere conosciuta da quantə più lettorə possibili. Grazie a 'Non piangere' il Prix Goncourt 2014 è stato suo. Prehistorica editore lo riporta da noi con la grazia e la possenza che soltanto delle traduttrici che davvero sanno fare il proprio mestiere possono infondere all'opera; Lorenza Di Lella e Francesca Scala.
Perché 'Non piangere' non è solamente un romanzo sulla rivoluzione nella guerra civile spagnola del 1936 fortemente permeato dall'antifascismo; è sperimentalismo attraverso tre voci; la voce dell'autrice/narratrice, la voce di sua madre Montse - la protagonista del romanzo - e la voce che si interpone a quest'ultima, quella del nazionalista pentito Georges Bernanos che non militerà più nell'Action française.
È davanti ad un bicchiere di anisetta che Montserrat Monclus Arjona (Montse) - novantenne con disturbi di memoria - comincerà a raccontare a sua figlia Lydie le memorie di quei giorni del 36.
Mia madre si chiama Montserrat Monclus Arjona, un nome che sono felice di far rivivere e di strappare per un istante all'oblio al quale era destinato. Nella storia che mi accingo a raccontare non voglio introdurre, per ora, nessun personaggio inventato. Mia madre è mia madre, Bernanos è l'autore, così degno di stima, dei 'Grandi cimiteri sotto la luna' e la Chiesa cattolica è l'infame istituzione che fu nel '36.
Un'anziana Montse adesso, che però ricorda con esattezza quegli attimi di vita dell'estate del '36, quei ricordi pregni di angustia e coraggio. Salvayre scrive: 'La ascolto sciorinare i suoi ricordi e intanto leggo I Grandi cimiteri sotto la luna di Bernanos che mi offrono un quadro più completo e più cupo dello stesso periodo.' Questa è un'importante nota stilistica del romanzo che rende ancora più peculiare il tutto. L'affastellamento di voci e di narrazioni verso un unico punto di fuga che è la rievocazione dei truci eventi legati a quel periodo storico, senza mai perdere di vista, però, quella freschezza espressiva che le traduttrici hanno reso alla perfezione. La madre dell'autrice, la Montse del romanzo, parla attraverso una commistione di espressioni idiomatiche francesi e termini spagnoli che sono declinati in grammatica francese; il franiol. E non demorde questa giovane Montse quando, appena quindicenne, si propone come domestica presso don Jaime Burgos Obregón. Furente lei e soprattutto suo fratello José, con cui poi partirà per la rivoluzione.
Ma se, di mattina, il suo cuore è una polveriera pronta a esplodere, di sera José sogna a occhi aperti una realtà favolosa e promette alla sorella Montse un mondo in cui nessuno sarà mai più servo né proprietà di un altro, in cui nessuno alienerà mai ad altri quella parte di sovranità che è sua di diritto, un mondo giusto e bello, un paraíso...
C'è tanto fuoco in questo romanzo. Il fuoco della lingua che arde, quel fragnol reso alla perfezione in traduzione; il fuoco dell'animo di José; il fuoco degli incendi che propagano cadaveri per le strade; il fuoco di una consapevolezza.
Ma dopo i fatti del luglio del '36 quella voce svanisce, dal momento che ormai c'è ben altro a cui pensare. La cosa importante adesso, la cosa essenziale, imprescindibile, è classificare le persone in buone o cattive, etichettarle in base alle loro simpatie politiche.
È c'è l'amore, il ritorno alla vita e il ritorno ai bombardamenti, la maternità e i ricordi che svaniscono e una giovane madre diciassettenne che sussurra alla figlioletta stretta contro il petto 'Non piangere' mentre all'orizzonte compaiono gli aerei fascisti.
Di tutti i suoi ricordi mia madre ha quindi conservato il più bello, vivo come una ferita. Tutti gli altri sono stati cancellati. Tutto il pesante fardello dei ricordi, cancellato. Settant'anni di un inverno interminabile in un paesino della Linguadoca cancellati e messi a tacere per sempre, per ragioni che ho qualche difficoltà a capire, mediche forse, oppure perché non hanno contato niente.
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