Ci vuole coraggio a Resistere.
Ci vuole coraggio a Sopravvivere.
Ci vuole coraggio a Mantenere. La propria vita, il raziocinio, i propri ideali. Ci vuole un coraggio ferino per non frammentarsi ancora.
Ci vuole coraggio a restare silente, a sopportare e a lasciarsi sfilacciare nella più intima identità di Donna ed attivista.
Di storie silenti le cui protagoniste sono state donne straordinarie che hanno fatto la Resistenza ne esistono tante. Chissà quante ancora giacciono tra i frantumi del dimenticatoio nazionale. Fra queste Isolina Morandotti, pittrice e militante condannata dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato durante il regime fascista. Orsola Severini ha portato alla luce questa storia attraverso il suo secondo romanzo, La Quarta Compagna, edito da Fandango. La protagonista Ada è stata ispirata da lei. Ho conosciuto la penna dell'autrice grazie all'esordio 'Il consolo', sempre pubblicato da Fandango, e questa seconda opera non ha smentito la potenza della stessa. Ne ho concluso la lettura con commozione, rabbia, voglia di saperne ancora di più.
Sinossi
Milano, primi del Novecento. Ada, figlia giovanissima di un piccolo ristoratore socialista, inizia a occuparsi di politica.
La sua vita è scandita dalle manifestazioni e dalla gestione della famiglia, fa parte della classe operaia e immagina un sole dell’avvenire che illumini e corregga le ingiustizie intorno a lei.
Frequenta i capi del partito comunista clandestino, ma sa di non avere molto in comune con loro, istruiti e borghesi, quas tutti maschi, che la interpellano per conoscere la “voce del popolo”.
Nei primi anni del regime fascista collabora alla diffusione dell’Unità a Milano e raccoglie fondi per il Partito comunista. Fino al giorno in cui, nel 1927, viene seguita, la sua casa perquisita, il padre minacciato e lei condotta verso un luogo sconosciuto.
Imprigionata e sottoposta a indicibili torture, in balia di un potere oppressivo e violento, dopo anni di abusi viene finalmente interrogata dallo stesso giudice istruttore del processo contro Gramsci, che le dà uno spiraglio (forse): un modo, per quanto doloroso, potrebbe esserci per evitare un processo politico come nemica dello Stato.
Resistenza.
Non solo quella politica. Perché questo è soprattutto un romanzo che ci parla di Resistenza emotiva, delle angherie che le donne hanno subito nei manicomi durante quegli anni. L'autrice ha infatti interpolato il materiale storico inerente a ciò che è realmente accaduto a pagine pregne di vissuto sofferente tra le mura delle carceri e dei manicomi. L'idea embrionale del romanzo infatti è nata proprio da ciò; dal voler rendere giustizia a tutte quelle donne massacrate dal sistema, accusate di pazzia, isteria.
Avrei potuto tentare di ammazzarmi io, usando la lurida coperta con cui dormivo, provare a impiccarmi. Ma io non ce la facevo. Bisogna essere molto coraggiosi per ammazzarsi. Mi avevano presa a calci e violentata, insultata e derisa, mi avevano spezzato le dita. Trattata come non si tratterebbe la più infima delle bestie. Ma adesso dovevo tornare umana. Una guardia mi pulì il sangue dalle mani con una pezza bagnata, infilando gli angoli sotto le unghie per rimuovere ogni sporcizia...Dovevo firmare il verbale e non potevano certo esserci macchie incriminanti. Scrissi il mio nome con le ultime forze. Poi mi trascinarono di nuovo per i corridoi e venni ributtata in cella.
Quanto coraggio ci vuole per restare vive in questo coacervo di disumanità? Ci hanno insegnato ad essere forti ad ogni costo, eppure Ada nel catrame dei manicomi ha partorito un altro tipo di forza, non occlusa dalle bugie e dall'egoismo, dall'ipocrisia del potere uncinato dei 'pezzi grossi' abituati a salvare la propria pelle e ad uscirne indenni. Ada è una donna che ha già sofferto nel privato tra un matrimonio decaduto e una figlia persa. Eppure lei si prende il suo fardello, la pila di giornali de l'Unità e comincia questa battaglia. Ma Resistenza non è quel concetto legato all'impugnatura di un'arma, ed è questo che Orsola Severini ha voluto evidenziare nel romanzo. Resistenza è non soccombere quando ti torturano e ti fanno passare per pazza ad ogni costo. È ciò che ti fa desistere dall'abbandonare la tua vita. È quel senso di vergogna che convive con te e che non ti permette di raccontare il periodo vissuto in manicomio perfino alla persona che hai amato. Ada infatti continua a convivere con questo peso nonostante tutto l'amore nutrito per la sua compagna. L' autrice ha interpolato ciò alla storia principale con molta delicatezza, e rendendo a pieno l'obiettivo principe del romanzo.
Ivana è stata la mia salvezza. Se ripenso alla mia vita c'è un solco ben preciso che la divide in due parti. Prima di Ivana c'era il dolore, l'angoscia la solitudine e la morte...Ma del manicomio non ho mai parlato con nessuno. Nessun essere su questa terra, neppure la mia amata Ivana, è a conoscenza di quei tre anni in cui sono stata rinchiusa nell'ospedale psichiatrico di Mombello.
Il titolo prende forma da fatti storici realmente accaduti. La partigiana Morandotti infatti ha vissuto per un periodo in una villa presso il Lago Maggiore assieme a tre dirigenti del partito comunista, nomi ancora ridondanti. Si tratta di Togliatti, Ravera e Terracini indossando le vesti di un'inserviente per non restare sospetti. Lei è stata quella Quarta Compagna. Il lavoro di documentazione portato avanti dall'autrice è stato certosino ed è stato reso al meglio anche a livello editoriale. Le parti inerenti a perizie psichiatriche, interrogatori, schedari politici sono state rese su carta attraverso il carattere che riconduce alle macchine da scrivere.
Una delle migliori uscite di questi primi mesi del 2024.
Ringrazio Fandango nella persona di Riccardo Cataldi per la copia cartacea. Ringrazio Orsola per averci donato questa storia meravigliosa.
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