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Come ho vinto il Nobel - Julius Taranto


C'è una nuova voce nel panorama letterario americano; una voce che ha contezza di ciò che vuole raccontare e che sa raccontarlo con acume privo di retorica e senza risultare troppo scontata, la voce di Julius Taranto. Atlantide l'ha portata in Italia pubblicando 'Come ho vinto il Nobel' nella splendida traduzione di Ilaria Oddenino, regalandoci un romanzo al tritolo pregno di citazioni, humour e riflessioni pungenti.

Scrivo di contezza perché la materia narrativa affrontata da Taranto non è la solita alla quale siamo abituati, e dovendo affrontare tematiche attuali ed impattanti, sarebbe stato labile il confine con i cliché. 

La mia materia di studio era il modello teorico Zhou-Einstadt-Smoot. Dopo l'università avevo declinato lucrose offerte da parte di Google e J.P. Morgan a favore di un faticoso dottorato sotto la supervisione di Smoot in persona. Newton e Leibniz avevano simultaneamente inventato il calcolo infinitesimale...Le previsioni della loro teoria erano state confermate, tracciando la curva della resistenza elettrica misurata sperimentalmente in maniera quasi esatta. ZEST aveva un'accuratezza tale che Zhou, Eisenstadt e Smoot furono invitati a incontrare il Re di Svezia. Tuttavia, il fenomeno della superconduttività restava in larga misura sconosciuto. Il modello ZEST era il migliore mai realizzato, ma era ben lungi dall'essere esaustivo. Io ero insolitamente promettente. 

È Helen che ci parla, la fisica che sta conducendo ricerche sulla superconduttività ad alta temperatura per contenere le catastrofi ambientali del pianeta. La corsa al Nobel è affiancata dal professor Perry Smooth, un eclettico personaggio coinvolto in uno scandalo sessuale, motivo per cui sarà 'spedito' al Rubin Institute Playmouth (RIP), un campus di 'reietti' su un'isola dell'Atlantico settentrionale, un cavedio intellettuale se vogliamo, riempito dai rappresentanti vessati dalla cancel culture. A seguirlo Helen con Hew, il compagno militante di sinistra.

Mandateceli pure, i cancellati, i deplorevoli, i vostri eminenti pervertiti, ce li prendiamo noi! All'inizio pensavamo si sarebbe trattato di una colonia penale accademica in cui i cervelloni più scostumati avrebbero trascorso il resto delle loro esistenze, esiliati dai piaceri della vita civilizzata.

Taranto ha fatto detonare dall'inizio il romanzo e sono stati subito chiari i suoi intenti...parlarci delle ipocrisie, delle esagerazioni, dei soprusi di potere presenti nella società odierna, attraverso una scrittura che è un concatenamero tra battute brillanti, rimandi letterari e linguaggio scientifico. Il RIP incarna le stesse contraddizioni di cui pullula la società benpensante, e forse non sono così diverse le due cose, no? L'isola ha un aspetto pittoresco, ma man mano che ci avviciniamo all'Istituto notiamo la presenza di una torre dall'aspetto di un fallo gigante, la Dote, e qui ne avverranno delle belle. La stessa Helen, la scienziata arguta che sta studiando il modello per salvare il pianeta, è colta da dubbi riguardo a quel microcosmo costellato dai rifiuti della società, chiedendosi se davvero ci sia così tanta sproporzione tra questo e la società vera, quella 'giusta'. 

L'ideologia woke e le sfilacciature di quanto sta intorno alla stessa sono state levigate da Taranto inserendo nelle vicende che accadono al RIP, dissertazioni di pensiero che passano attraverso la mente della stessa Helen e del compagno, al quale proprio non vanno giù le 'stronzate da progressisti compiaciuti'. Nel frattempo Helen incrocerà anche i bias dello scrittore Lens (un po' tendenzioso, diciamocelo) e nel frattempo compariranno anche nomi del calibro di Saul Bellow e Cynthia Ozick. Qui si ride, si riflette e si imparano molti concetti. La narrazione procede attraverso botta e risposta sagaci, flussi di pensieri, descrizioni accademiche di elementi inerenti alla fisica e al mondo letterario.

E' vero, tendo ad autocolpevolizzarmi. È un atteggiamento che difendo nella misura in cui penso sia meglio sbagliare in quella direzione piuttosto che in quella opposta. Ma al centro della questione c'era il mio bisogno di controllo. Mi assumevo la responsabilità anche quando era ovvio che non fossi responsabile, perché questa illusione mi concedeva l'illusione secondaria di poter fare qualcosa, se non ora la prossima volta, per modificare un esito negativo. 

In fin dei conti siamo questo, un conclave di dubbi e contraddizioni su cui premono diverse domande sul raggiungimento di compromessi, un modello di congetture quasi perfetto ma non del tutto.

Ringrazio la Redazione nella persona di Beatrice La Tella per la copia del romanzo. 




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