Abisso.
Lo chiama così Massimo Ammaniti quel conclave di orrori osservati nel Padiglione 8 dell'Ospedale psichiatrico Santa Maria della Pietà a Roma. Un abisso già sondato dal giovane laureato in medicina, specializzato in neuropsichiatria infantile. Nel Padiglione 8 erano infatti ricoverati bambini e adolescenti considerati irrecuperabili, abbandonati dalle famiglie e trattati con disumanità del tutto slegata da empatia. Il primo incarico era durato appena un giorno, nel 1972 Ammaniti vi fa ritorno da assistente neuropsichiatra con la speranza di ridare vita e luce a queste vite perdute.
Quello al Padiglione 8 era per me un ritorno. Avevo già lavorato lì sei anni prima e avevo rassegnato le mie dimissioni, non potendo tollerare oltre lo stato di degrado e di squallore in cui si trovavano i bambini all'interno del reparto. Ero in debito con me stesso per quell'abbandono. Non si trattava di dimostrare che questa volta ce l'avrei fatta a resistere in quel luogo spaventoso, quanto piuttosto di prendermi cura dei bambini che avevo lasciato in quelle condizioni, e aiutarli a condurre una vita più dignitosa.
Un'organizzazione sclerotica, scrive il Professore, quella del Padiglione 8. Per cambiare le condizioni di degrado in cui queste piccole anime vivevano non era soltanto necessario occuparsi della loro salute psichica, ma cercare di fare comprendere a tutta l'istituzione che era urgente una modifica di regole ed abitudini. Questa visione ottiene l'approvazione del primario, ma ostruzioni da parte delle caporeparto. Una cosa però è certa. Bisogna ridare dignità a questi bambini ridotti ad automi vestiti con 'camiciotti d'ordinanza'. Bambini disabili, bambini con microcefalia, affetti da sindrome di Down, bambini tagliati dal cordone della famiglia e ridotti a prigionieri anonimi da divise tutte uguali, recinzioni e sbarre alle finestre. Laceratori, venivano chiamati così nel gergo manicomiale i violenti.
I bambini che osservo ogni giorno hanno perso qualsiasi spinta esplorativa e qualsiasi curiosità, ed è difficile capire quanto ciò sia legato alla disabilità originaria e quanto alla 'carriera' a cui sono stati sottoposti, per usare un termine del sociologo americano Erving Goffman: rifiutati e abbandonati dai genitori, privati di legami, di stimoli sociali, affettivi e cognitivi, derubati della propria immagine personale e della capacità di riconoscersi. Non è un caso che nel reparto non ci siano specchi in cui riflettersi, così come non c'è nessuno che veramente guardi i bambini negli occhi facendoli sentire vivi.
E così Ammaniti cerca di smuovere una situazione paralizzata. Si farà una gita al mare a Passoscuro, una spiaggia nelle vicinanze di Roma. Questo, il Passoscuro che dà voce al titolo del libro.
In questi capitoli Massimo Ammaniti ha intercalato l'esperienza maturata nell'Ospedale Psichiatrico a vicende della propria vita, la vita di uno studente di medicina che comincia a porsi domande sulla psichiatria e viene toccato dai dubbi. Sarà un incontro ad influenzarlo enormemente, quello con lo psichiatra Bruno Callieri; la psichiatria non è più un elenco nomi, sintomi, disturbi, ma è l'individuo con emozioni e valori esistenziali a prendere parte al tutto. La passione di Callieri diventa anche la sua, e comincia l'internato nel reparto di psichiatria.
I ricoverati erano chiusi in stanzoni sovraffollati privi di qualsiasi privacy, curati solo con psicofarmaci ed elettroshock, senza che si prestasse alcuna attenzione alla loro storia individuale.
Dopo il primo internato, i primi abissi fatti di visioni che fanno male, ragazzine legate ai termosifoni ed altri bambini legati mani e piedi ai letti. Sono gli anni dei movimenti di contestazione giovanile e della contestazione alla psichiatria ufficiale, Bollea e Basaglia lo dimostrano. Ammaniti comprende con i suoi colleghi che gli psichiatri non dovrebbero essere soltanto sorveglianti nei reparti. E poi una morte fulminea in tre giorni di Pupa, sorella e compagna di giochi.
Questo è un libro scritto in maniera cristallina, sentita. Un memoir di vita personale e professionale, in grado di regalare anche nozioni e fatti scientifici con limpidezza nel mare dell'emotività.
Ringrazio la casa editrice Bompiani e Marta Zambon per la copia del libro.
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