Essere impastati nel peso dell'afasia di sentimenti, parole, solitudini. Un vuoto che pesa tantissimo, quello della vita che preme e dei ricordi che bussano. Solitudini che crescono, si scontrano e si plasmano, dando vita ad un abbraccio che infondo sa di nuova fiducia verso l'avvenire, più leggera. Il peso di Liz Moore è un romanzo che non porta con sè soltanto il fardello del titolo (Heft), ne porta diversi, e il lettore li sente, sulla schiena e nel cuore. Il peso è un peso fisico, ma anche emotivo. La solitudine dei protagonisti rimbomba e collide nonostante sia colma di mancanze. Un ossimoro che pesa anche a noi. Ha ragione Andrea Donaera quando nella prefazione scrive che Il peso è un romanzo che ci costringe a uno sguardo nell'abisso.
Tra i duecentoventi e i duecentosettanta chili. Questo è il peso di Arthur Opp, ex docente di Letteratura incastonato nella casa di Brooklyn come uno di quei monili impolverati mai più spostati. Arthur non esce più di casa, diventa un bruco in un bozzolo nel quale rimorsi e ricordi tendono a tessere il peso della solitudine colmato con caterve di cibo.
La prima cosa che devi sapere di me è che sono estremamente grasso. Quando ci siamo conosciuti ero per così dire rotondo ma ma ora non più. Mangio quello che voglio e tutte le volte che voglio. Sono anni che praticamente non cerco nemmeno di ridurre la quantità di cibo che consumo perchè non ne vedo il motivo. Nonostante questo non sono né immobilizzato né costretto a letto ma quando faccio più di sei o sette gradini mi manca il fiato e in effetti mi sento molto timido e come imprigionato dentro una custodia, come un violoncello.
Al peso fisico si attorciglia il peso emotivo, che vuole diventare claudicante grazie a spese online di sollievi estemporanei che prendono il sapore di burro d'arachidi e Pop'ems, ma diventa in realtà ancora più roboante. Un peso ingigantito da una circostanza che ha allontanato il Professor Arthur dall'Università nella quale insegnava anni prima. Fra le sue studentesse, Charlene Turner, con la quale negli anni ha mantenuto nel tempo un rapporto epistolare. Charlene nel frattempo è diventata madre di Kel, che gioca a baseball e nel baseball sogna un futuro radioso, mentre sua madre affoga il peso del dolore nell'alcol. Kel un padre non l'ha mai conosciuto, è questo il suo peso, che si somma ad una madre vinta dall'alcolismo e ad una condizione di disagio economico. Ed ecco che pesi e voci narranti che entrano in collisione, dal momento in cui Charlene con il suo affetto di madre pieno ma sbilenco, cerca di alleggerire il fardello di quel figlio che vede il futuro ombroso con la presenza di Arthur. Liz Moore alterna le voci narranti di Arthur e Kel e ci fa sentire i declivi dell'esistenza consumata da monotonia e abbandono di un'idea di speranza, come se però ci fosse un alone di luce pronto ad esplodere...e in effetti alla fine questo alone esplode.
Ognuno di questi personaggi è inciso dal fardello di dolori e solitudini senza perdere nitidezza. Arthur sedimenta nella sua casa impolverata ma ad un certo punto decide che è ora di mettere in ordine un po' di cose, e così a spolverare casa e la sua vita arriverà un altro personaggio, e non vi svelo di più. Il rapporto speciale con Charlene, la richiesta per suo figlio, gli riaccende una fiammella nel bozzolo, la stessa che animava le lezioni che teneva all'università. Kel spesso inalberato con una madre troppo piegata dal senso di vuoto, si renderà conto con lucidità che invece il peso dell'amore può rendere leggero perfino un peso inafferrabile. Kel ha uno sguardo lucido e caustico sulle proprie mancanze, e i suoi pensieri diventano i nostri.
Una volta fantasticavo. Sognavo di tornare indietro nel tempo a quando lei era bambina e diventare suo amico e protettore. Credo di sapere com'era da piccola e sono sicuro che gli altri bambini non erano gentili con lei. Anche quand'ero piccolo, questo pensiero mi sconvolgeva. Avrei voluto tornare indietro nel tempo a quando gli altri ragazzini erano scortesi con lei durante le partite, a quando le ragazzine sussurravano cattiverie alle sue spalle.
Il peso è una lettura di una bellezza incredibile, che mi ha portata ad empatizzare con queste persone incredibili nelle loro debolezze e nella fame d'amore, avvolte da sensi di colpa e domande su come sarebbe andato tutto se fosse stato diverso. Alla fine del romanzo capirete anche voi che non ci sarà mai una vera e propria risposta, e che il fardello forse premerà sempre, ma imparerà anche a volare come un palloncino, tenuto da chi, in quella solitudine ha ritrovato la primavera.
Ringrazio la casa editrice NNEDITORE per la copia del romanzo.
Traduzione di Ada Arduini
Commenti
Posta un commento