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Latte Sangue Fuoco - Dantiel W. Moniz


Sono poche, davvero poche le raccolte di racconti che sono in grado di afferrarmi; ancor meno quelle in grado di non mollare la presa. Latte Sangue Fuoco di Dantiel W. Moniz può benissimo incasellarsi in questo perimetro. Non è facile descrivervi la sua penna e ci ho pensato un po'. Il titolo però ci racconta già qualcosa. Tre sostantivi che indicano le sfumature che vi ho trovato. 

Incandescenti, lattiginosi e più delicati, arrovellati su diverse sfaccettature, quelle di ordinaria umanità che descritte da una penna che crea immagini diventano quasi stra-ordinarie. Questi racconti sono così. E si, l'autrice ha disegnato con la scrittura, ci ha presentato situazioni e tematiche ben impresse nella collettività ma in modo ammaliante, utilizzando una prosa pacificante e metaforica alternata a toni più leggeri e secchi che non le mandano a dire. Tu leggi e ti poni domande e sei lì ad applaudire i protagonisti perché cavoli, se ti ritrovi in quel ventaglio di perplessità e convinzioni, fin quando dopo aver sorseggiato il racconto ti arriva la botta finale, all'improvviso. È proprio quello che mi è capitato con il primo, Mostri. 

È quello che fanno, mostrare barlumi di cose, situazioni, persone, in tutte le emozioni possibili. Siamo statə anche noi ragazzinə che si sono sentutə mostruosə rispetto all'amichetta con cui abbiamo stretto un patto di sangue. Solo che qui il sangue viene bevuto in una ciotola di latte come fosse un drink brindato alle promesse e la ragazzina vede la sua pelle troppo marrone. Si parla anche delle black lives qui, ma non è assolutamente un tema portato all'esasperazione. Siamo quellə che s'interrogano sulla morte e sulla comprensione mancata da parte dei genitori. Siamo quellə che immaginano cose come vicende che sanno di film d'avventura.

Potrei sparire, inseguire l'aria umida dell'estate lungo un'autostrada sconosciuta e cercare di sfuggire alle gambette che ballano sul bancone della mia cucina, o ai polmoni grandi come fagioli che sento ronzare quando mi avvicino al comodino. Immagino la terra spaccata, i saguari giganti, l'aria calda che diventa sempre più secca a mano a mano che avanzo verso ovest e il sole rosso che sprofonda. 

Oppure siamo statə adolescenti imbarbariti dai continui litigi di due genitori fissati nella propria campana di vetro e che non vedono l'ora di dare forma a quel futuro ancora sfocato scappando di casa, come in Posseduti. O siamo e saremo quelle donne silenziosamente bruciate da metastasi che avanzano e un marito che non accetta la cenere che si deposita. E siamo e saremo fuoco e latte, morbidi, rossi, candidi, chiari e scuri, proprio come senza un fisso contorno è l'umanità, fatta d'istinti primordiali. 

Avevamo accettato il lavoro, ovvio. Eravamo cittadini con esigenze da cittadini: cibo e alloggio e cure mediche. I nostri figli volevano delle cose e noi volevamo che potessero desiderarle, e a volte ottenerle. Non chiedevamo molto, molto meno di quello che gli stessi membri del club volevano, solo permetterci di essere umani, e in questo senso la paga in contanti era difficile da battere. 

L'ha scritto anche la traduttrice Gioia Guerzoni nella nota finale. 'La condizione umana, che Moniz descrive così bene, è questo. Esseri capaci di grande gentilezza e di tremenda crudeltà. Portare la gioia nella mano sinistra e il dolore nella destra. 

Ringrazio la casa editrice NNEDITORE per la copia. 

Illustrazione copertina di Ragni Agarwal



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