Che Dürrenmatt fosse geniale ed estremamente folgorante lo avevo già appurato leggendo 'La promessa', e, scusate il gioco di parole, mi ero ripromessa di leggere assolutamente altre sue opere. 'Il sospetto' è un capolavoro senza se e senza ma. Un condensato di meraviglia che fa scricchiolare la mente, scombussola, e lascia un'amara piacevolezza imbrigliata nel lettore.
DALLA SINOSSI
Il vecchio commissario Bärlach è a fine corsa. A pochi giorni dalla pensione, giace in un letto d’ospedale. Il complesso intervento a cui è stato sottoposto è andato bene, sì, ma gli è stata diagnosticata una malattia senza scampo. È messo male, Bärlach, e le riviste che ha a disposizione per distrarsi non lo distraggono affatto: «Erano bestie, Samuel ... Tu sei un medico e puoi renderti conto. Guarda un po’ questa fotografia» dice all’amico Hungertobel porgendogli un numero di «Life» del ’45. Una scena di inaudita efferatezza: nel campo di concentramento di Stutthof il dottor Nehle, medico del lager, con «l’imperturbabilità di un idolo» sta operando un prigioniero senza narcosi. Di colpo Hungertobel impallidisce. In quella foto gli è parso di riconoscere il suo antico compagno di studi Emmenberger, ora stimato proprietario della più esclusiva clinica di Zurigo, un luminare amato dai suoi pazienti, che «credono in lui come in un dio». L’atroce sospetto, però, non tarda a rivelarsi infondato, anzi «una follia»: dalle informazioni che Bärlach riesce a ottenere risulta infatti che Nehle si è tolto la vita alla fine della guerra. Eppure qualcosa non gli torna. Ci sono strane discrepanze – e ancor più strane somiglianze: le figure di Nehle ed Emmenberger sembrano confondersi. Negli occhi di Bärlach, stretti a fessura, torna a brillare l’antica vitalità quando convince Hungertobel a farlo trasferire sotto falso nome, come paziente, nella clinica di Emmenberger. Lì potrà condurre la sua ultima, solitaria battaglia contro il Male.
Inizia ad insinuarsi nel novembre del 1948, il sospetto, in un momento che per il commissario dovrebbe rappresentare un mero sollazzo come quello dello sfogliare una rivista. S'insinua silenzioso, il sospetto, arriva privo di rumore, in un vecchio commissario colpito al cuore in un letto d'ospedale, e giace con lui, si distende con lui e lo sfiora, infastidisce e solletica.
Solleticare la mente.E' quello a cui penso in modo ancora più convinto dopo aver letto quest'altra opera dello scrittore e drammaturgo svizzero, che del giallo metafisico ne ha fatto il proprio stendardo. Qui c'è un commissario ma questo non è soltanto e semplicemente un giallo e non vi sono soltanto bestialità o crimini. Dalle bestialità si passa a nuovi interrogativi, ad accenti posti su questioni esistenziali e dicotomie che si abbracciano e si escludono in un ping pong in cui il giusto è sbagliato e ciò che è sbagliato diventa giusto. Bestialità sono gli atti commessi dal medico morto e poi risorto (sarà davvero cosi?), le operazioni attuate senza narcosi, il dolore che inebria i pazienti ebrei nei campi di concentramento di Stutthof. Nehle, colui che mentre conduceva il bestiale esperimento 'mostrava l'imperturbabilità di un idolo'. Nehle bestia tra gli uomini o bestia tra le altre bestie? Man mano che si prosegue sulle pagine gli interrogativi aumentano, inebriano come un bicchiere di vodka, quella nella bottiglia polverosa presa dal caffettano, che il commissario ingurgita alimentando mentre altre farine del demonio vengono spolverate sulla testa. Sono demoniaci, i sospetti, e ti portano ad interrogarti anche su quei pazienti pronti a subire dolore senza narcosi in nome di una libertà meramente illusoria.
La libertà a volte è una puttana, a volte una santa, per ognuno è qualcosa di diverso, per un operaio è una cosa, per un religioso un'altra, per un banchiere un'altra ancora e per un povero ebreo in un campo di sterminio come Aushwitz, Lublino, Majdanek, Natzweiler, e Stutthof, un'altra cosa ancora.
Botte e risposte taglienti s'impastano a pagine di alta, ma davvero alta, letteratura. Irriverenza e freschezza si mescolano a passi che potrei definire lirici ed altamente traboccanti di speculazioni in veste filosofica. Tra i dialoghi di quel commissario cocciuto con medici ed infermiere amanti di criminali di guerra, giornalisti, nani e giganti emergono i concetti di moralità, menzogna e verità, torturati e torturatori. Nani e giganti, proprio così, e cari allo scrittore (ricordate il gigante dei porcospini de La promessa?) Perchè quello che Dürrenmatt fa è portare avanti, da un tipico evento criminoso che necessita di indagine, un'indagine di pensiero, sovvertendo la scaletta che fa capolino nel genere giallo: Crimine-indagini-sospettati-risoluzione del crimine.
La legge è la legge. X=X. La formula più mostruosa che mai sia salita al cielo eternamente insanguinato, eternamente notturno che incombe su di noi'...'La matematica mente, la ragione, l'intelletto, l'arte sono tutte menzogne. Che va cercando, commissario?Noi tutti, senza venire interpellati, veniamo posti a caso su una fragile zolla, e non sappiamo a che scopo...
Qui s'indagano le battaglie personali di Don Chisciotte che non lottano più contro i mulini a vento, di nuovi Odissei e di Gulliver poveri o ricchi che scelgono il proprio inferno, di un comunismo sporcato e di un male e di un bene flebili, dell'incostanza dell'essere umano, della sacralità della materia, e della casualità che intride la stessa, che insensatamente dona un'illusione d'infallibilità. Illusione nichilista che tutto inghiotte in una luce azzurrognola, la stessa di quella stanza d'ospedale.
E per voi, il bene e il male sono una lotteria?
Ringrazio tantissimo la casa editrice Adelphi e l'ufficio stampa per avermi concesso la copia del romanzo.
TRADUZIONE: Margherita Belardetti
PUBBLICAZIONE ADELPHI FABULA: 2022
PRIMA PUBBLICAZIONE: 1953
COPERTINA: Arnold Odermatt, Windisch
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