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Thérèse Raquin


Qualche certezza. 

Prima fa tutte, Zola è uno di quegli autori che ho studiato fra i banchi di scuola e non ho mai approfondito, nonostante la mia docente di francese abbia insistito per farci acquistare i suoi romanzi più famosi. 

Seconda certezza. Non ho mai provato così tanto ribrezzo per un personaggio e al contempo così tanta pena e non sono mai stata pervasa da un nichilismo così viscerale e da una sfiducia nel genere umano. Tant'è che lo stesso Zola ha scritto dei personaggi di questo libro che 'Thérèse e Laurent sono animali con sembianze umane, niente di più'.

Terza certezza. Ai tipi di Newton e Compton piace tanto, ma proprio tanto, il termine infingardo.

Veniamo a noi. La trama, di per sé, non contiene nel proprio canovaccio una grande novità. Zola infatti struttura il romanzo su un adulterio tra una donna sposata e un uomo vile, con conseguente crimine, nella Parigi del 1800. L'adultera è lei, Thérèse, nipote della merciaia di Vernon Thérèse Raquin, che sposa il figlio di lei e dunque suo cugino Camille, giovane uomo di salute cagionevole e cresciuto nella campana di vetro di sua madre, e no non lo sposa certo per amore. E cosa fa la nostra Teresa? Diventa l'amante di Laurent, ex compagno di classe di Camille, e come se non bastasse il povero Camille si accolla un triste destino, perché la sua vita viene spinta dal delitto carnale dei due amanti. 

La sottoscritta avrebbe anche compreso (non giustificato, per carità) una vicenda di tale portata se il motore dei sentimenti fosse stato quello dei sentimenti veri e furibondi che, si sa, denotano l'animo umano. Laurent è davvero un vile, un calcolatore, un vigliacco. Trova Thérèse 'brutta e col naso lungo', abituato a comprare favori a basso prezzo di altre donne 'né più belle né più amate'. Thérèse, dal canto suo, è ingabbiata in una situazione monotona di un matrimonio non desiderato, di questo marito che per come ci viene descritto è noioso e ancora premuto contro i vetri di quella campana costruita da sua madre. Ed eccola, questa donna che pur di sfuggire al nulla si accontenta di una passione impura e della viltà. Zola caratterizza fortemente ambienti e personaggi, e ce ne accorgiamo leggendo già la prima pagina, nella quale la storia è introdotta con minuziose descrizioni di botteghe, vetrate, lampioni, lungo il passaggio del Pont-Neuf. Ci viene descritta la merceria della madre di Camille (Thérèse senior, per intenderci), un breve excursus sulla sua vita di vedova e lavoratrice, e sul motivo per cui ha deciso che Camille deve sposare sua nipote Thérèse. Ed ecco la mossa sbagliata sulla scacchiera. Questa donna che dona il destino del figlio ad un fagotto insulso ed ipocrita. Queste vite sono insulse ed ipocrite, e il miraggio di voler tessere il bene su un terreno scivoloso causa soltanto altro marcio. Laurent, che nella vita dipinge su tela anche notevolmente, si fa anche pittore, a livello astratto, di quadri astuti nelle vite di queste donne che mi hanno scatenato una gran pena. Zola ha dato agli stessi un taglio di caratterizzazione a livello psicologico non indifferente, e questo è ciò che mi ha portato ad apprezzare l'opera. Quello che ha fatto, scrivendo tale opera nel 1867 e sorbendosi svariate critiche, è stato un continuo scandagliare le nefandezze di personalità spicciole come i nostri protagonisti. Se mi sono inalberata così con queste personalità meschine allora lo scopo dell'autore ha colto nel segno. L'ho apprezzata meno per i tanti termini desueti, come vi anticipavo prima, ma questo credo sia un problema dipendente dalla traduzione. E l'ho anche apprezzata meno per la troppa ipocrisia di fondo, il famoso cane che si morde la coda. Ad un certo punto, Thérèse afferma:

'Siamo dei grandi peccatori, dobbiamo sentirci se vogliamo goderci un briciolo di tranquillità... Vedi, da quando piango sono più serena. Imitami. Ammettiamo insieme che questa è la giusta punizione per aver commesso un orribile delitto.'

E qui entra in gioco il coccodrillo con le sue famose lacrime. Esiste davvero una giusta espiazione per un crimine del genere? Esiste poi una giusta vendetta per una madre che perde il proprio figlio in tal modo? A voi l'ardua sentenza. 

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