'Sto firmando la mia condanna, che accetto come giusta conseguenza di ciò che mi appresto a fare. Questo è ciò che mi dice l'animale irrazionale che abita dentro di me, in un luogo buio e profondo dal quale è uscito solo in questi giorni. Un senso di colpa atavico e subdolo che supera ogni costrutto culturale.'
Senso di colpa.
Uno struggente e doloroso senso di colpa inflitto dalla cinghia rovente di chi giudica. Quanti altri sensi di colpa dovrà affrontare chi, come Orsola, ricorre ad interruzione terapeutica di gravidanza? Quante lacrime ancora dovranno rigare il volto di una donna disperata e pregna di un amore fortissimo?
Orsola Severini è stata toccata profondamente, da quella cinghia rovente, agganciata dalle fibbie subdole del sistema di chi, a parole arroventate ha attorcigliato ancora di più il suo dolore. L'ha scritta in queste pagine, questa storia di dolore e di forza, cominciata quando la translucenza nucale ha messo in evidenza l'idrope fetale del* su* bambin*, affett* da trisomia 21. Una condizione gravissima, una condanna a morte per quella vita, che la conduce a decidere per l' aborto. Non basta questo, no. Al dolore si somma altro dolore, quello causato dai tanti cavilli di un sistema ancorato al retaggio sbagliato, un coro stonato di obiettori di coscienza, di lingue dentellate e parole sbattute in faccia senza remore.
Dal 1978 la Legge 194 consente in Italia di poter effettuare un'interruzione di gravidanza entro i primi 90 giorni di gestazione, eppure chi vi ricorre viene tacciata con i peggiori epiteti e deve continuamente vedersi una spada di Damocle sulla testa.
Il consolo è la vera storia romanzata di Orsola Severini, la vera storia di tutte le donne che nuotano in questo maremoto. 'Consolo', quel rifornimento di cibo fatto alle famiglie dei defunti, che spengono il cuore e i fornelli nella morte di un proprio caro, qui riferito al padre dell'autrice, che con la sua assenza intride quei momenti traboccanti di tristezza, ma che ritorna sulle pagine grazie alle memorie di Orsola, anzi, 'Orsoletta', come la chiamava lui. Un osso duro come i ciottoli di quel mare a Villa San Giovanni... lì dove il padre di Orsola è stato seppellito, terra di ricordi d'infanzia e amore.
Una storia necessaria, atta a farci comprendere quanto subdolo sia un sistema del genere e i giudizi dissacranti da chi, quel dolore, lo sta soltanto osservando esternamente. O, ciecamente, non lo vede affatto.
Ringrazio la casa editrice Fandango per la gentile concessione della copia.
Commenti
Posta un commento